A partire da questa pubblicazione intendiamo avviare un percorso di approfondimento della legislazione afferente ai consulenti finanziari.
Siamo perfettamente consci che i contenuti di base inizialmente proposti saranno, quantomeno per la formazione necessaria per superare l’esame di abilitazione, ben noti alla platea dei consulenti finanziari.
Tuttavia, riteniamo che sia utile ripercorrere brevemente la normativa di base come punto di partenza per nostri e vostri interventi di approfondimento; auspichiamo che questi ultimi saranno numerosi nel dibattito giuridico che desideriamo suscitare con ogni consulente finanziario interessato a questi temi.
Come noto, il Decreto legislativo 24/02/1998, n.58, nel disciplinare gli intermediari finanziari prevede, nel titolo riservato ai servizi ed attività di investimento, un capo di specifica disciplina dell’offerta fuori sede e della vigilanza sui consulenti finanziari.
E’ all’art 31 del Decreto che è normata l’attività dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede nonché l’Organismo di vigilanza e la tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari.
L’esame di parti di questo Decreto e di altre disposizioni di legge ci consentirà, con una serie di interventi pubblicati sul nostro sito tempo per tempo, di interagire con l’esame della più recente giurisprudenza formatasi su vari temi d’interesse, commentare casi di contenzioso o risolvere dubbi e/o curiosità del consulente finanziario.
Ecco un primo tema di potenziale interesse: chiara la figura e l’attività del consulente finanziario, vogliamo oggi intrattenerci su un caso che si occupa di una particolarità della responsabilità in solido, di cui al n. 3 dell’art. 31: la responsabilità del soggetto che conferisce l’incarico (la società o banca) per i danni arrecati a terzi dal consulente finanziario in caso di violazione degli obblighi di correttezza, trasparenza e salvaguardia dei diritti dei clienti.
Nel caso in esame i clienti convennero in giudizio banca e consulente finanziario adducendo di avere stipulato un contratto di conto corrente, deposito titoli e intermediazione finanziaria; nel corso del rapporto i ricorrenti esposero di aver perduto consistenti somme, investite in titoli azionari intermediati dal promotore, al quale rilasciarono mandati firmati in bianco e i codici di accesso al servizio. Fu pertanto richiesto al Tribunale competente di accertare la responsabilità solidale di promotore e banca per la violazione degli obblighi di correttezza, trasparenza e salvaguardia dei loro diritti di clienti, e dell’obbligo della banca di vigilare e controllare l’operato del loro promotore. Il Tribunale rigettò le domande per carenza di prove. La Corte d’appello, in sede d’impugnazione del giudizio di primo grado, ha condannato, in solido, banca e promotore, al risarcimento del danno. Contro tale sentenza, sia il promotore che la banca, hanno ricorso separatamente per cassazione.
Fra gli altri, uno dei motivi del ricorso presentava una particolarità interessante: l’art. 1227 c.c., comma 1, codice civile prevede il cosiddetto tema del concorso di colpa del danneggiato (il cliente) eccepito dal promotore per avere la Corte omesso di valutare il comportamento degli investitori, i quali gli “avevano rilasciato ordini di acquisto e di vendita firmati in bianco nonché le password necessarie per effettuare le operazioni on line, in tal modo dimostrando di essere consapevoli della tipologia degli investimenti effettuati e dei rischi connessi”.
La Corte (Cassazione civile sez. I, 10/05/2016, n.9460), riferendosi ad un suo indirizzo ormai consolidato, affermava che “nella giurisprudenza di questa Corte, è costante il principio secondo cui l’intermediario risponde per i danni arrecati a terzi dai promotori finanziari nello svolgimento delle incombenze loro affidate, purché il fatto illecito del promotore sia legato da un nesso di occasionalità necessaria con l’esercizio delle mansioni cui sia adibito (ndr. un collegamento fra fatto illecito del promotore e attività che costituisce l’oggetto del mandato), che viene meno in presenza non di un comportamento doloso (anche di rilevanza penale) del preposto, ma soltanto di condotte del risparmiatore “anomale”, e cioè, se non di collusione, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore (v. Cass. n. 22956/2015, n. 27925/2013).
Tali condotte possono essere apprezzate solo dai giudici di merito e la Suprema Corte ha ritenuto che non possa essere generalizzato il principio, espresso in precedenza, secondo cui la responsabilità dell’intermediario andrebbe esclusa, ove l’investitore abbia incautamente comunicato al promotore i codici di accesso al proprio conto corrente, rendendo così possibile il fatto illecito di quest’ultimo.
Il rilascio di ordini in bianco e della password di accesso ai conti online – come, in sostanza, logicamente ritenuto dalla Corte d’appello nel caso in esame – ben può costituire comportamento rappresentativo di una gestione del rapporto, da parte del promotore, secondo modalità inadeguate e, in definitiva, della violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, al fine di carpire la fiducia dei clienti e di sottrarsi, in tal modo, agli obblighi informativi previsti dalla legge in funzione protettiva nei loro confronti, fatti dei quali è chiamato a rispondere anche l’intermediario in ragione della ridetta responsabilità solidale.
Da quanto sopra è seguito il rigetto dei ricorsi e la conferma della sentenza emessa dalla Corte d’Appello.
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