CONSOB disponeva la radiazione di un consulente finanziario dall’albo unico con una delibera che traeva origine dall’attività di vigilanza informativa avviata dalla sua Divisione Intermediari: l’azione era avviata in seguito alla ricezione di nota da parte di OCF nonché di nota e successiva comunicazione di istituto di credito preponente, della Procura della Repubblica e di analoga relazione inviata dalla Guardia di Finanza.
Le contestazioni mosse al consulente finanziario spaziavano dall’aver promosso e collocato prodotti finanziari nell’interesse di società terza rispetto all’attività ufficiale di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede per conto dell’Istituto segnalante e per aver esercitato tale attività anche per conto di soggetto non abilitato in Italia alla prestazione di servizi di investimento.
A tali rimproveri si aggiungeva quello di aver comunicato informazioni non rispondenti al vero agli investitori, all’istituto preponente ed a CONSOB, dichiarando per iscritto di non aver promosso e distribuito prodotti riconducibili alla società terza in questione e di non aver mai avuto alcun mandato per proporre investimenti con alcuna società riconducibile ad altri soggetti.
La tempestiva opposizione del consulente richiedeva, in via principale, la sospensione dell’efficacia esecutiva della delibera nonché l’annullamento della stessa in quanto illegittima per violazione dei termini di contestazione ed infondata nel merito; in subordine veniva formulata la domanda di applicazione di diversa e più moderata sanzione tra quelle previste dal D. Lgs. 58/1998.
Consob, dal canto suo, chiedeva il rigetto dell’istanza di sospensiva e dell’opposizione.
Visto il fatto, le contestazioni sulle quali la Corte esprimeva il suo giudizio erano quattro:
La prima verteva sulla decorrenza del termine previsto dal TUF (in 180 giorni) per effettuare l’accertamento necessario all’applicazione delle sanzioni; la difesa del consulente, esaminate note e documenti pervenuti, riteneva che i termini per sollevare la contestazione fossero già spirati alla data della notificazione degli addebiti. Su questo specifico punto la decisione, vista la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, è stata di diverso avviso: la decorrenza del termine da rispettare per la contestazione degli illeciti andrà individuata “nel giorno in cui la Commissione in composizione collegiale, dopo l’esaurimento dell’attività ispettiva e di quella istruttoria, è in grado di adottare le decisioni di sua competenza, senza che si possa tenere conto di ingiustificati ritardi, derivanti da disfunzioni burocratiche o artificiose protrazioni nello svolgimento dei compiti assegnati ai suddetti organi” vale a dire alla data dell’ultima notizia pervenuta alla CONSOB per un’utile valutazione del complesso delle contestazioni rivolte al consulente finanziario, data non ancora spirata nel caso che ci occupa.
La seconda domanda riguardava la violazione del principio del contraddittorio e della conoscenza degli atti istruttori; la difesa del consulente poneva in risalto la violazione del principio del contraddittorio (ndr. il giudice non può pronunciarsi se la parte chiamata in giudizio non è stata posta nella condizione di partecipare al procedimento e conoscere gli addebiti che le sono rivolti) e quello dell’indispensabile conoscenza degli atti istruttori, entrambi cardini del diritto di difesa e del giusto processo. Ritenuto dalla Corte superfluo il vaglio del richiamo di CONSOB all’applicazione di tali principi costituzionali al solo processo giurisdizionale e non a quello amministrativo, la Corte, nel notare la completezza degli atti trasmessi da CONSOB al consulente finanziario rilevava come la difesa non avesse segnalato né la mancata trasmissione di uno specifico atto istruttorio, né gli effetti che da tale carenza sarebbero derivati in termini di difesa. La contestazione è quindi stata considerata del tutto generica e, come tale, non meritevole di accoglimento.
In terza battuta il consulente contestava l’insussistenza degli addebiti contestati; la difesa contestava il fatto della indebita equiparazione fra le attività svolte dal consulente accusato e quelle di altro soggetto coinvolto nell’indagine della Procura. A nulla valeva tale tesi anche alla luce delle “considerazioni svolte dal consulente in merito ai diversi esiti in ambito penale” allorquando, pur presente che sia l’istituto di credito preponente che l’indagine in sede penale avevano stabilito, rispettivamente, l’assenza di criticità e dell’elemento soggettivo del reato (ndr. il fatto che il consulente fosse imputabile di un condotta penalmente rilevante), erano state le intercettazioni telefoniche e le mail intercorse fra il consulente e terzi e/o co-indagati a provare le violazioni delle specifiche norme contestate (violazione degli articoli 31, comma 2 T.U.F. e 107 comma 1 reg. e non dei reti contestati dalla Procura) nonché la raccolta di fondi a favore del progetto fra la clientela assegnata dall’istituto preponente. Sulla base di tali elementi, quindi, risultavano integrate le condotte fondanti gli addebiti di cui alla delibera impugnata. Infatti, la valutazione di tutto il materiale probatorio convinceva la Corte che “la delibera della Consob non merita censure, né quanto all’inquadramento della fattispecie né con riguardo al carattere non veritiero ed illecito delle informazioni funzionali alla raccolta di denari”.
Con la quarta doglianza il consulente lamentava l’eccessività della sanzione irrogata.
La richiesta della difesa secondo cui la condotta del consulente era da ascriversi alla sola volontà di recuperare quanto investito non ha trovato, anche alla luce della molteplicità delle condotte poste in essere, della loro reiterazione, della recidiva e dell’importanza delle somme coinvolte, alcuna considerazione da parte della Corte.
Quest’ultima ha sancito la perfetta aderenza delle prime tre condotte contestate alle ipotesi previste dalle norme violate per le quali è applicabile la radiazione e neppure dal punto di vista dell’entità della sanzione vi è stata alcuna indulgenza da parte dei giudici che hanno anche condannato il consulente all’intera rifusione delle spese di procedimento.
La Corte riteneva quindi di irrogare la radiazione del consulente dall’Albo considerata compromessa in via definitiva l’affidabilità professionale del medesimo.
Attendiamo gli esiti di un eventuale ricorso in Cassazione che sarà nostra cura di seguire.
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